Farnace, Venezia, Rossetti, 1739

Assente nell'edizione Zatta Frontespizio
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Luogo spazioso d’architettura nella reggia.
 
 AQUILO e BERENICE con seguito
 
 BERENICE
 Di Farnace e del figlio
 cerchisi in ogni parte. Altro sospetto
380mormora nel mio petto
 ch’entro la regia ascosi
 vivono entrambi.
 AQUILIO
                                   Ubbidirò. Ma donde,
 donde contro Farnace odio sì fiero
 sino a volerlo estinto?
385Perdona al zelo mio. Tanto rigore
 per esser giusto i suoi confini eccede.
 BERENICE
 Quai confini trovasti
 nella rabbia crudel di Mitridate?
 Egli oppresse sul campo
390con empio tradimento
 il mio sposo Ariarate. Egli recise
 con ferro micidiale
 il più eccelso rampollo
 del mio tronco reale;
395egli tutto tentò per mio periglio.
 AQUILIO
 E le colpe del padre ascrivi al figlio?
 BERENICE
 Se non è reo Farnace
 de’ paterni delitti
 altamente m’offese
400allor che mi rapì la mia Tamiri.
 Non più Aquilio. Intanto
 giacché amico destino
 guidò Selinda ne’ miei lacci, io voglio
 cominciar da costei la mia vendetta.
405La vittima è ben degna.
 AQUILIO
                                              Ah mia regina. (S’inginocchia)
 BERENICE
 Che pretendi da me? Levati e parla.
 AQUILIO
 Dona al sangue ch’io spargo
 per la grandezza tua, dona al mio zelo,
 dona al mio amor...
 BERENICE
                                      Selinda?
 AQUILIO
                                                         Ah l’innocente
410parte non ha...
 BERENICE
                              Già vedo
 che divenuto sei un folle amante.
 Sai pur che in cor guerriero
 è fallo amor. Cangia però pensiero.
 
    Rammentati talvolta
415che figlio sei di Roma,
 il tuo dover ascolta
 e scaccia il folle amor.
 
    Invan di forti allori
 cerchi d’ornar la chioma,
420se poi coi vani amori,
 vile tu rendi il cor.
 
 SCENA II
 
 AQUILIO solo
 
 AQUILIO
 No, che amor non è fallo in cor guerriero,
 anzi all’eroiche imprese
 stimolo di valore
425al pari della gloria è spesso amore.
 Contro la mia diletta
 Berenice non s’armi o in pena attenda
 ch’io crudeltà per crudeltà le renda.
 
    Chi me privar intende
430dell’idolo che adoro
 svellere, o dio, pretende
 quest’alma dal mio sen.
 
    In quelle luci belle
 ritrovo il mio tesoro
435e dal favor di quelle
 la pace a me provien.
 
 SCENA III
 
 Mausolei con la piramide destinata per sepolcro dei re di Ponto.
 
 FARNACE
 
 FARNACE
 No, che ceder non voglio. Ancor mi resta
 un momento fatale
 che renda memorabile e tremendo
440al gran giro de’ secoli il mio nome.
 Oppressa libertà ti devo ancora
 l’ultimo sacrificio. Oggi s’adempia.
 Son già scelte le vittime e son tali
 che ben ponno illustrar la mia sciagura.
445Scenderò negli Elisi
 con le spoglie superbe
 di due tiranni trucidati e carco
 di trofeo sì pesante
 stancherà l’ombra mia sul guado estremo
450dell’antico nocchier il fatal remo.
 
 SCENA IV
 
 TAMIRI e detti
 
 TAMIRI
 (Pupille, o voi sognate o questi è certo
 il diletto mio sposo).
 FARNACE
 (Cieli! Vive Tamiri e il mio comando
 non eseguì?)
 TAMIRI
                           Qual nume
455mosso a pietà degli aspri miei tormenti
 ti riconduce a consolarmi, o caro?
 FARNACE
 Quel nume spergiurato
 da te vil donna.
 TAMIRI
                               Ah che quel nume stesso...
 FARNACE
 Taci. Cotanto è dunque
460dolce la vita ai miseri che ponno
 goderne ancora in servitù crudele?
 TAMIRI
 Io ben volea morendo
 fuggir l’ingiurie della mia fortuna
 ma Berenice...
 FARNACE
                              Intendo.
465Berenice ti diede
 col sangue suo la sua viltà. Ma forse
 al primo tradimento
 il secondo accopiasti
 e all’oltraggio del barbaro trionfo
470il figlio mio serbasti.
 TAMIRI
 Ah lo serbai (deh secondate, o cieli,
 l’amorosa menzogna)
 ma lo serbai di quella tomba in seno.
 Ivi è sepolta, oh dio!
475l’unica tua delizia e l’amor mio.
 FARNACE
 Dunque morì l’amata prole? Ah troppo,
 troppo ottenne da me la mia sciagura.
 Si è servito alla gloria, omai si serva
 alla paterna tenerezza. Parli,
480parli alquanto il dolore,
 poi la virtù il sommerga entro del core.
 
    Il tuo pianto, i tuoi sospiri
 giusti sono, o sposa amata,
 io non serbo un’alma ingrata,
485teco langue anche il mio cor.
 
    Il tiranno in me tu miri,
 il crudele in me tu vedi
 ma nel sen più che non credi
 provo estremo il mio dolor.
 
 SCENA V
 
 BERENICE con seguito de soldati e TAMIRI
 
 BERENICE
490Olà! Queste superbe
 memorie d’una stirpe
 insidiosa a Berenice e a Roma.
 Cadano a terra sparse.
 TAMIRI
                                            Oh dei! Che sento?
 BERENICE
 E ’l cenere infedel disperda il vento.
 TAMIRI
495Ah regina, ah soldati, avida tanto
 l’ira vostra è di sangue
 che s’avanza a cercar nell’ossa ignude
 de’ reali sepolcri esca funesta!
 BERENICE
 Alla vendetta mia non basta il sangue,
500vive sempre l’offesa
 fin che vive fra noi
 dell’ingiusto offensor qualche memoria.
 TAMIRI
 Ah madre, ed è pur questo un sì bel nome
 che raddolcir potria quel di nemica,
505per quei teneri amplessi, onde una volta
 con braccia pargolette
 ti circondava il sen, per quei soavi
 vezzi, con cui dal collo
 bambino a te pendea,
510risparmia al mio dolore,
 risparmia alla tua gloria e alla tua fama
 un oltraggio crudele,
 da cui degno di te frutto non cogli.
 BERENICE
 E pianger può la moglie
515del gran Farnace, pianga
 ma pietà non ottenga. Ite, atterrate...
 TAMIRI
 Sì; ben dicesti. Il pianto
 non è degno di me, di me più degno
 sarà il furor, contrasterò feroce,
520darà forza lo sdegno al braccio imbelle
 e forse alla difesa
 del suo regale avello avrò compagna
 l’ombra di Mitridate.
 BERENICE
 A voi guerrieri, cada
525l’altera mole.
 TAMIRI
                           (Oh dio!
 Tutto invano ho tentato). Empi fermate.
 Odimi Berenice.
 BERENICE
 Che dirai?
 TAMIRI
                       (Che farò? Materno amore
 seguo, sì, le tue voci e il tuo consiglio;
530mi trafigga lo sposo e viva il figlio).
 BERENICE
 A che pensi? A che badi?
 TAMIRI
                                                Oh con qual prezzo
 la tua clemenza oggi a comprar m’accingo.
 BERENICE
 Spiegati.
 TAMIRI
                    Il pargoletto
 che finor t’occultai voglio svelarti.
535Ma cara madre, hai ben di sasso il core,
 s’ei la vita d’un figlio oggi mi niega.
 Io lo darò; ma... poi...
 BERENICE
                                          Dallo e poi priega.
 TAMIRI
 Apransi queste nere
 stanze di morte. Esci dal tuo ricovro
540flebile furto d’infelice madre.
 Ecco, o regina, il grande
 terror di Roma, ecco l’avanzo estremo
 di quel sangue che abborri.
 Su via, piegati a terra
545picciola fronte e al piè regale imprimi
 dell’ava eccelsa ossequiosi bacci.
 Non è viltà cor mio
 ciò che comanda ai miseri fortuna.
 Questi, o regina, è il tuo nipote. In esso
550del suo genio guerrier l’indole osserva;
 ma col tuo sangue il tuo rigor consiglia
 che alfin madre mi sei.
 BERENICE
                                             Non mi sei figlia. (Parte col fanciullo)
 
 SCENA VI
 
 FARNACE e TAMIRI
 
 FARNACE
 Questa è la fé spergiura
 che tu serbi al consorte?
555Così guardi al mio figlio
 il prezioso onore
 d’una libera morte? E quando mai
 t’insegnò tal viltà la gloria mia?
 Or vanne e porgi ancora
560al romano carnefice la spada,
 perché fiero e crudele
 in quel tenero sen tutta l’immerga.
 Vanne... Anzi resta... Io tolgo agl’occhi miei
 l’orror di quel sembiante
565codardo, abominevole, funesto
 ma la pena dovuta
 non fuggirai. T’attendo
 spettro vendicator, larva sdegnata
 là degli Elisi in su le nere soglie.
 TAMIRI
570Sposo... Farnace... Oh dio...
 FARNACE
                                                    Non mi sei moglie.
 
 SCENA VII
 
 TAMIRI sola
 
 TAMIRI
 Dite che v’ho fatt’io, ditelo, o cieli!
 È delitto sì grande
 una giusta pietà che si punisca
 in sì barbare guise?
575Sol perché salvo un misero innocente
 dalla rabbia crudel del mio destino,
 già mi niega la madre
 il titolo di figlia,
 già mi toglie lo sposo
580il nome di consorte.
 Ah! In mezzo a tanti affanni,
 numi a voi per pietà chiedo la morte.
 
    La madre mi scaccia,
 lo sposo mi fugge,
585s’affanna, si strugge
 quest’alma fedele,
 destino crudele,
 che fiero rigor!
 
    Conviene ch’io taccia,
590ch’io soffra , ch’io pena
 ma l’alma è ripiena
 di doglia sì fiera
 che morte sol spera
 l’afflitto mio cor.
 
 SCENA VIII
 
 Gabinetti reali.
 
 SELINDA, FARNACE
 
 SELINDA
595Dove mai ti trasporta,
 signor, il tuo coraggio e il tuo destino?
 Queste di Berenice
 son le soglie crudeli.
 FARNACE
                                        Io voglio or ora
 trucidar l’inumana.
 SELINDA
                                       E donde speri
600dopo il colpo fatal rifugio e scampo?
 Qui da folti custodi
 è ristretto ogni passo.
 FARNACE
                                          Ai gran delitti
 talor la sorte ammiratrice arride.
 SELINDA
 Ah con inutil prova
605di valor disperato
 te stesso perdi e non racquisti il figlio.
 A più sano consiglio
 volgi, o signor, la mente.
 Emireno il tuo duce
610del fuggitivo esercito raccolte
 le disperse reliquie e degl’amici
 ragunati i soccorsi a sé ti chiama.
 FARNACE
 Ad Emireno è noto
 che in questa regia io tento
615di svenar Berenice,
 di dar morte a Pompeo. L’esito attende
 della grand’opra e poi
 contro i nemici impetuose e fiere
 spingerà le sue schiere.
 SELINDA
620Maggior ch’io non credea
 è il tuo disegno ed il tuo rischio. Vanne,
 vanne german, dove Emiren ti attende
 e a me lascia il pensiero
 d’eseguir ciò che brami. A secondarmi
625disporrò in breve Aquilio.
 FARNACE
                                                  Ammiro il tuo
 generoso e magnanimo ardimento;
 ma compagni non voglio al gran cimento.
 
    Non basta al guerrier forte
 che il suo nemico cada
630ma vuol con la sua spada
 dell’empio trionfar.
 
    Per altrui man la morte
 dell’empia non desio;
 io son l’offeso ed io
635vuo’ l’onte vendicar.
 
 SCENA IX
 
 BERENICE col fanciullo, POMPEO con AQUILIO e SELINDA
 
 BERENICE
 Del nemico Farnace eccoti il figlio.
 Vedilo; ha nel sembiante
 della madre l’orgoglio,
 del genitore la perfidia. Abbatti
640il papavero infausto,
 pria che spiegata la superba spoglia
 di pestiferi semi ingombri il campo.
 SELINDA
 Duce, regina, in che v’offese questa
 pargoletta innocenza?
645Che mai, che mai temete
 da sì tenera età?
 BERENICE
                                 Spesso il torrente
 che pria dimesso e tacito correa,
 sormontando superbo il suo confine,
 mormorando rovine,
650gregge e pastori atterra
 e porta al mar tributo no ma guerra.
 POMPEO
 Olà, sia vostra cura
 custodir quel fanciullo
 finché di lui disponga e del suo fato
655l’autorità di Roma e del Senato.
 
    Sento che al cor mi parla
 quell’innocente figlio
 e che del suo periglio
 a me chiede pietà.
 
660   Né posso a lui negarla
 né deggio esser crudele
 con chi non è infedele,
 con chi colpa non ha.
 
 SCENA X
 
 BERENICE e SELINDA
 
 SELINDA
 Fra le libiche serpi
665non nascesti, o regina;
 perché mai l’innocenza
 il tuo rigor condanna?
 Ah! Sei col sangue tuo troppo tiranna.
 
    Raffrena i sdegni tuoi,
670il tuo materno amore
 desta nel regio core;
 ma udirmi tu non vuoi;
 ma la pietade, o dio,
 non leggo in volto a te.
 
675   Ah se sperar non lice
 pietà per l’infelice,
 troppo spietata sei,
 scampo per lui non v’è.
 
 SCENA XI
 
 BERENICE
 
 BERENICE
 Sarò sempre crudel qual tigre irata
680contro di chi m’offese.
 Voglio il suo sangue e allor sarò placata.
 Sì, sì, mora... Ma chi? M’offese forse
 l’innocenza del figlio? Ah no. Sarebbe
 crudeltà senza pari. Ei viva... E in esso
685viverà il mio periglio?
 Vivranno i scorni miei? No, mora. Il padre
 basta per farlo reo. Quel sangue indegno
 spargasi da ogni vena.
 Oggi le membra odiate
690mirerò lacerate
 e del padre e del figlio,
 poiché solo dell’ira odo il consiglio.
 
    Tutto è terrore, tutto è spavento,
 pianti e sospiri d’intorno io sento;
695chi mesto langue, chi versa il sangue
 ma d’un tal duolo non ho pietà.
 
    Di sdegno accesa, di fuori e armata,
 con chi m’ha offesa sarò spietata,
 sarò ripiena di crudeltà.
 
 Fine dell’atto secondo